
Nel centesimo anniversario della nascita di Chiara Lubich diamo la parola ad una delle sue prime compagne: Marilen Holzhauser
Era il 16 luglio 1949
Così Marilen racconta di quel giorno in cui Chiara l’andò a prendere a casa per portarla con sè nel primo focolare a Piazza Cappuccini (Trento) e poi a Tonadico; così ella divenne testimone privilegiata di un’estate di luce.

Era il 16 luglio ’49 e Chiara era venuta a Trento da Tonadico, per accompagnare Foco che tornava a Roma. Proprio quella sera ho telefonato in Piazza Cappuccini ed è venuta lei al telefono. “Chiara – le ho detto – sono pronta per venire in focolare”. E lei: “Allora, stasera stessa vengo a prenderti, dopo cena”.
Dato il mese, era ancora giorno; Chiara è rimasta lì due ore con tutta la famiglia riunita nella stanza da pranzo. Sul tavolo c’erano dei liquori e dei biscotti che papà le ha offerto.
C’era silenzio. Chiara si é messa a parlare del bene che mi voleva e che ci volevamo, forse per mostrare ai miei genitori che sarei stata in buone mani, che ero amata tra le focolarine. Le sue parole scioglievano il disagio iniziale.
Ho tolto dalla mia stanza il quadro di Gesù abbandonato, l’ultima cosa mia che ancora era rimasta a casa, e Chiara l’ha preso fra le sue mani. Poi siamo uscite di casa, mentre papà faceva scivolare nella tasca del mio soprabito un sacchetto di cioccolatini. Tutta la famiglia è venuta ad accompagnarmi fino al cancello. Avrei voluto girarmi per salutare tutti ancora una volta, ma pensavo: “Non mi devo voltare, perché ‘chi pone mano all’aratro e si volta indietro non è adatto al Regno dei cieli'”. Ma, prima di girare l’angolo, Chiara mi fa: “Voltati e saluta la tua famiglia, sono ancora tutti fuori”.
Stringeva fra le braccia il quadro di Gesù abbandonato. “Ti raccomando – continuava – non venire in focolare a cercare Gesù in mezzo, vieni a cercare solo Gesù abbandonato”. Non capivo in quel momento l’importanza di quelle parole: per me, entrare in focolare era andare da Gesù in mezzo. Sulla strada abbiamo incontrato la banda cittadina che suonava: “Ma guarda, tutto ti fa festa” commentava Chiara.
C’erano degli ospiti quella sera in focolare, e non c’era un letto libero per me. Per terra, sopra un tappeto, ho sistemato il cuscino di un divano e mi sono coricata così, davanti alla finestra aperta. Non ricordo di aver preso sonno. Continuavo a recitare lentamente la preghiera del Padre nostro guardando dalla finestra un cielo serenissimo, pieno di stelle.
Nel pomeriggio del giorno seguente, con Chiara, sono partita in corriera per Tonadico. Lei mi era seduta accanto, alla sinistra. Alla mia destra c’era un uomo, povero e cieco. Chiara continuava a parlarmi, a raccontarmi cose belle, e lui ci ascoltava.
A un certo punto ha aperto un borsone logoro che aveva con sé e, preso un cartoccio di pezzetti di biscotto, me li ha offerti. Rimango perplessa, indecisa se accettare; ma Chiara: “Prendili, prendili, è il tuo sposo che te li offre. Sei in viaggio di nozze, e lui ti offre i dolci”.
E’ stato forte per me… questo mio sposo era un povero, cencioso e cieco, con la faccia tutta rovinata. Sì, era il mio sposo, ma era Gesù abbandonato, nessun altro che Gesù abbandonato. Ho preso un pugno di biscotti e li ho mangiati offrendogli a mia volta delle caramelle che avevo con me.
Il giorno seguente, a Tonadico, Chiara mi ha detto di chiedere a Gesù nell’Eucarestia una grazia, ché quello era un giorno speciale, e qualunque cosa avessi chiesto Lui me l’avrebbe data.
Io non ero sempre aperta davanti all’Ideale, avevo l’anima piena del mio cristianesimo tradizionale e un forte spirito critico di fronte a tutto e a tutti. Mi appariva più difficile la conversione mia che non quella di una persona non religiosa, che accoglie tutto con animo aperto. Sentivo fortemente questa difficoltà. Per questo ho chiesto a Gesù il dono di essere un “vuoto” di fronte a quel “pieno di Dio” che era l’Ideale. Chiara non avrebbe potuto darmi la sua luce se la mia anima non fosse stata vuota di fronte a lei.
E’ stato un periodo veramente straordinario. Volevamo essere un’anima sola, era questa la nostra unica preoccupazione: un’ascetica forte, ma vissuta insieme. Ogni giorno, dopo la Messa, Chiara ci raccontava la nuova comprensione che aveva ricevuto dell’Ideale. Questa luce ci illuminava e ci avvolgeva tutte.
Da Marilen, semplicemente vivere, Ed. Città Nuova, Roma 2000.

Marilen Holzhauser (terza da destra) in una giornata di vacanza con tutte le prime focolarine di Trento.
Partendo da sinistra: Dori Zamboni, Gis Calliari, Lia Brunet, Ginetta Calliari, Palmira Frizzera, Silvana Veronesi, Aletta Salizzoni, Graziella De Luca, Marilen, Giosi Guella, Bruna Tomasi.